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La Storia

Il 15 dicembre 1863 numerosi soldati e guardie nazionali, agli ordini del generale Pallavicini, che era coadiuvato dal coraggioso Capitano Diaz, dopo 6 giorni d’assedio, durante i quali fu ucciso il carabiniere Giacomo Mennone, piuttosto incauto e spavaldo nell’attaccare, catturarono sette briganti: Angelo Varrone (48 anni, capo banda), Vincenzo e Felice Cassella (padre e figlio di 48 e 22 anni) e Raffaele Pascale (39 anni) tutti di Cusano Mutri, oltre a Francesco paolo Amato di “Pietraroja”, Giovanni Barletta di S. Marco dei Cavoti e Arcangelo Lancieri di Salerno.

I primi quattro, portati a “Pietraroja”, con immediato e rapido consiglio di guerra, vennero subito fucilati alla schiena sull’Aia della Corte, un piccolo spiazzo alle spalle dell’attuale municipio: altro che promessa di avere salva la vita e di riduzione della pena, in caso di resa.

Gli ordini piemontesi, nella maggior parte dei casi, non consentivano di andare troppo per il sottile, e le promesse di clemenza con regolari processi e di non essere passati per le armi, in caso di resa o di “ravvedimento”, erano solo premeditati e ingannevoli trucchi.

Anche Francesco Paolo Amato venne poi ucciso, e il fratello Nicola, che si era prestato a tradirlo, indicando la “Grotta” dove si nascondeva assieme agli altri briganti, con la promessa di ricevere 100 piastre in denaro e che a Francesco Paolo sarebbe stata fatta salva la vita, non ricevette nemmeno il denaro e, soprattutto per la fine del fratello, uscì di senno.

Ancora oggi, a “Pietraroja”, si parla di “Cola gliu matto”, che si ritirò a vivere di stenti in una misera capanna pagliaresca in località “Potete”, dove un mattino fu trovato morto.

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